In città ha incontrato i “big three del giornalismo”: New York Times, Washington Post e Wall Street Journal
Se non fosse per New York, probabilmente l’editore Urbano Cairo non sarebbe mai esistito. “Ero qui nel 1980, studiavo alla New York University dove ero stato mandato dalla Bocconi per fare un semestre all’estero. In Italia, Berlusconi stava espandendo il suo impero televisivo e cercava giovani che gli suggerissero idee di successo. Il modello americano mi ispirò a tal punto che decisi di chiamarlo. Non fu semplice arrivare a lui, ma alla fine riuscì ad avere un appuntamento e incontrarlo”. Un discoro produttivo, quello tra i due, che portò a risultati concreti. Dopo qualche mese, Cairo iniziò a lavorare per Berlusconi.
Al Gruppo Esponenti Italiani, l’editore ha parlato di quegli anni d’oro (“Silvio sosteneva che non fosse un buon periodo per gli affari, figuratevi erano i magici anni ’80”) insieme al Presidente del GEI Mario Platero. “Stavo facendo militare e dovevo ancora finire l’università. Così la mattina prestavo servizio, il pomeriggio lavoravo con Berlusconi e la sera scrivevo la tesi”.
Cairo non metteva piede negli Stati Uniti dal 2000, ma nonostante i tanti anni un forte collegamento con l’America non ha mai smesso di sentirlo. “Adoro la politica americana, ho iniziato a seguirla con le campagne elettorali degli anni ’60 e ’70 e non ho più smesso”. A New York ha incontrato i “big three del giornalismo” (New York Times, Washington Post e Wall Street Journal), da cui ha cercato di prendere spunto per capire le differenze di vedute e di metodi tra gli editori italiani e USA.
“Gli Stati Uniti anticipano ciò che poi arriverà in Italia e in Europa. Qui ho trovato un mondo pieno di stimoli e opportunità”. Anche qualche investitore? “No, al momento non sono alla ricerca né di investitori, né di nuovi soci”.
Solo di tante idee, nella consapevolezza che gli USA abbiano ancora il potere “di cambiare alla radice il modo di vivere delle persone. È facile rendersene conto, basta guardarsi intorno e osservare le grandi aziende elettroniche: Apple, Facebook e ancor prima Microsoft hanno completamente rivoluzionato la nostra quotidianità”.
Un soft power che gli Stati Uniti continuano a detenere e che Cairo ha riconosciuto anche nel settore dell’editoria.
Sulle mire espansionistiche che lo vedrebbero a breve mettere le mani anche su Mediaset, Cairo è invece molto fermo: “Impossibile. Mediaset è un’azienda posseduta dalla famiglia Berlusconi per oltre il 50%. Non è contendibile. Quando scalai Rcs la società lo era, aveva sul mercato il 60% delle azioni: qui no. Credo anche che Pier Silvio Berlusconi e Marina abbiano tutte le intenzioni di tenersela e non vogliano minimamente venderla”.
Stessa cosa in politica. Dopo aver lavorato con Berlusconi per tanti anni ed essere entrato da protagonista nel mondo dell’editoria e dello sport (Cairo è proprietario del Torino), a distinguerlo del Cavaliere resta solo la discesa tra i banchi del potere. “Devo ammettere che me lo hanno chiesto molte volte, ma io ho sempre rifiutato. Semplicemente ho altre priorità: nel momento in cui hai un gruppo che fattura 1.300 miliardi e diecimila famiglie connesse al gruppo, credo sia una cosa assolutamente impossibile. Non voglio dire che la politica non mi piaccia: semplicemente non voglio farla”.
Articolo a cura di Nicola Corradi
Urbano Cairo al GEI: “Il mio successo nell’editoria è nato a New York”